“Sex on Parade sarà l’ultimo reality show della televisione americana, la frontiera estrema che finora nessuno ha osato varcare.” – Bill Foley

Stanza 69

« “Sex on Parade sarà l’ultimo reality show della televisione americana, la frontiera estrema che finora nessuno ha osato varcare.” Un’affermazione audace, la sua, inizialmente accolta alla stregua di una sparata pubblicitaria. Eppure, oggi molti ammettono di averne sottovalutato le implicazioni e parlano di effetto Rosenthal. Lei vince sempre, non è vero?»
Le parole fluttuano in aria come suoni senza significato, poi si intrufolano in un orecchio e William è sveglio.
Per qualche istante non ricorda il suo nome. Non ha sesso, né età. È un embrione di coscienza nella placenta, un respiro di animale, lento e regolare. Apre gli occhi. La mano scivola sulla fronte sudata, i polpastrelli premono sulle tempie. I pensieri iniziano a fluire e il ricordo di ieri si conficca nel ventre con spigoli e denti. Rotola su un fianco e si mette a sedere sul letto. Barcollando, punta verso il bagno.
È la fine del mese di agosto, anno 2004. Si trova in un motel fatiscente, dalle parti del Queens o giù di lì – ricorda vagamente il colore dell’insegna ma non saprebbe descriverne la facciata. Ci è strisciato dentro in piena notte, come uno scarafaggio tra le fessure di una crepa.
«Sei chi dico io, non me la dai a bere» ha detto l’albergatore, sudicio come una banconota di piccolo taglio.
«Se lo fossi, non sarei in questa bettola» ha replicato lui, tagliando corto.
L’eco della risata lo ha raggiunto mentre saliva le scale e William ha guardato d’istinto il portachiavi che teneva in mano. Stanza numero 69.
Mi serve un altro posto dove stare, ha pensato, chiudendosi la porta alle spalle. Poi si è buttato sul letto come un suicida da una rupe e il buio l’ha inghiottito.
«Le comunità dell’antica Grecia praticavano riti orgiastici in onore di Dioniso, il dio dell’ebbrezza: vi partecipava tutta la collettività e nessuno se ne vergognava. La vergogna, il senso di colpa sono concetti ipocriti, costrutti moderni.»
La tele è rimasta accesa. Sebbene l’audio sia al minimo, William riconosce subito quella voce. È Bill Foley, l’autore più discusso della televisione.
«Il sesso non è una cosa sporca, come per secoli ci hanno fatto credere, e Sex on Parade lo ha dimostrato. Non staremmo qui a parlarne se così non fosse.»
Deve dargli atto che sembra crederci. Chissà, magari ci crede davvero.
La giornalista chiede se non teme di essersi spinto troppo oltre e come commenta la condanna espressa dalla Chiesa. Mai prima d’ora il papa era intervenuto in maniera così decisa in merito a un programma televisivo.
«Cosa vuole che le dica?» risponde Foley, con un sorriso sornione. «Non abbiamo bruciato eretici né fomentato guerre di religione. Sono occupazioni che lasciamo volentieri a chi ama fare la predica. È vero, il Vaticano ha proibito ai fedeli di vedere il programma ma posso assicurarle che, dati alla mano, siamo molto seguiti anche in Alabama. E l’Italia ha già chiesto di acquistare i diritti del format.»
«Sex on Parade è entrato in tutte le case, ha riunito le masse intorno ai desideri più nascosti di ciascuno.»
Un’altra voce inconfondibile. Tracey Elliott. Il fatto che lavori in televisione la dice lunga su questo schifo di nazione.
«Lo show che conduco è assolutamente autentico, emergono sentimenti veri, di persone vere. Ecco perché ha avuto successo.»
«La sua conduzione ha sollevato molte polemiche. Il movimento femminista le si è rivoltato contro, per non parlare delle associazioni dei genitori» incalza la giornalista, usando un tono di voce più stridulo rispetto a quello riservato a Foley.
«Davvero?»
Tracey alza gli occhi al cielo e si porta l’indice sulle labbra, con quell’espressione un po’ maliziosa un po’ ebete che è il suo marchio di fabbrica.
Foley interviene con un gesto garbato della mano.
«Vede» replica, «quando soffia il vento del cambiamento, non c’è modo di arrestarlo. Tutti gli schieramenti ostili, con il loro blaterare scandalizzato, non ottengono altro risultato che accelerarne i tempi. Sono, loro malgrado, attori essenziali della rivoluzione.»
William poggia la mano contro la parete del bagno. Con l’altra abbassa gli slip e prende in mano il pisello. Quell’arnese poteva valere un milione di dollari e adesso non riesce nemmeno a centrare il buco del cesso.
«Eppure molti genitori sono sinceramente turbati all’idea che il suo programma sia trasmesso anche in chiaro e che i bambini possano fruirne liberamente. Lei lo mostrerebbe ai suoi figli, Bill?»
«Io no ho figli. Mia moglie non poteva averne.»
«Mi scusi, non lo sapevo.»
«Voi giornalisti credete di sapere tutto.»
L’intervistatrice allarga la bocca come dal dentista. Giocando la carta della moglie, tragicamente scomparsa anni prima, Foley ha segnato il punto decisivo.
«Stasera andrà in onda la puntata finale del programma. Restate con noi. Ripercorreremo insieme i momenti salienti di Sex on Parade, il reality show che ha cambiato per sempre la storia della televisione. E soprattutto cercheremo di rispondere alla domanda che tutti si stanno ponendo in queste ore. Che fine ha fatto William Knight, il concorrente più amato dello show?»
Una bella strizzata per far cadere le ultime gocce e William tira lo sciacquone. Non poteva commentare in maniera migliore.
Se potesse, riavvolgerebbe il nastro della sua vita. Lo riporterebbe a tre mesi prima.

“Per una volta saranno gli uomini l’oggetto sessuale delle donne, in una sorta di harem rovesciato. Sex on Parade capovolgerà i ruoli di genere tradizionali.

Siamo tutti stanchi di vedere le donne trattate come bistecche.” – Tracey Elliott

Giorni
Ore
Minuti
Secondi
Partecipa alla rivoluzione